MODULO DI ARTE DEI GIARDINI
prof. Enza Stagnini
APPUNTI LEZIONE 3
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IL LUSSO DELLA PAUSA
(Il Settecento in Inghilterra, Cina e Giappone)
Il Settecento in Inghilterra
I legami tra gli Stuart e la corte francese fanno si che Le Notre giunga in Inghilterra per realizzare parchi alla sua maniera. Ma i suoi giardini non ebbero grande fortuna: le meraviglie progettate per il parco di Versailles e le promenade di Luigi XIV che sfioravano l'assurdità parodistica erano diventate irreali rappresentazioni della natura che aveva ormai perso ogni libera espressione.
Assistiamo così ad un superamento della limitazione del giardino, limitazione intesa come costituzione di un limite, limite comunque mantenuto nei giardini francesi, costituito sia dai margini boschivi che ricordiamo a Versailles, sia dal potere esercitato dall'uomo attraverso la forzatura formale in cui costringeva la libertà della natura.
L'infinito non è più un elemento progettuale simbolico del giardino dell'assolutismo francese che rimaneva comunque costretto dentro il suo confine formalistico: il giardino stesso diventa … infinito. Il paesaggio, artificialmente creato in forme naturali, predomina sull'intera composizione espandendosi oltre il confine del parco, fin dove l'occhio può errare, in un'immaginazione progressiva in cui tutto il paesaggio diventa un giardino.
Nel secolo dei Lumi la Natura diventa interlocutrice dell'uomo, non vittima. La Natura si rivela con le sue libertà diventa, anche se illuminata con discrezione dalla ragione e dall'intelligenza dell'uomo, protagonista pressochè assoluta del giardino
- I 48a - Claude Lorraine, Paesaggio Pastorale, 1638 -
Quadri come questo descrivono un nuovo rapporto uomo-natura, come equilibrio tra natura ed intelletto e conservano il carattere possiamo dire romantico degli schizzi dei giovani intellettuali al ritorno dal Gran Tour: le rovine architettoniche ambientate nella campagna romana, ormai ridotta a terra di pastori, sono la manifestazione visiva di quello che la critica inglese definirà the sublime and beautiful in landscape painting. (Non dimentichiamo che il nuovo orientamento architettonico già avvertito nella prima metà del secolo si fa carico dello sviluppo degli studi archeologici.
Il patrimonio formale appena sfiorato dal Rinascimento nonostante l'entusiasmo degli umanisti, Domus Aurea …, viene ora esplorato sistematicamente. Iniziano in questo periodo gli scavi di Ercolano (1711), del Palatini (1729), di Villa Adriana (1734), di Pompei (1748).
Si pubblicano le prime raccolte sistematiche di rilievi, non limitandosi alle 'cose romane', ma si cerca una conoscenza diretta dell'arte greca, paleocristiana, etrusca, e persino della preistoria. I contributi raccolti nella prima metà del secolo sono posti a frutto e sistemati razionalmente da Joahnn Joachim Winckelmann (1717-68) all'inizio della seconda metà. La sua 'Storia dell'arte antica' (1764) oltre a proporre per la prima volta di studiare la produzione artistica degli antichi com'è, oggettivamente, e non come è accolta dalla moda del tempo - meritando così di essere chiamato il fondatore della storia dell'arte - propone le opere antiche come precisi modelli da imitare: Winckelmann diventa così il teorico del nuovo movimento del neo-classicismo.)
Nel paesaggio descritto da Lorraine il mondo vegetale, preferito come protagonista agli infiniti possibili paesaggi della domesticazione agricola, è quello naturale, selvaggio, dell'autonomia, sia pure casuale.
William Kent (poeta, pittore, architetto e paesaggista, propugnatore del neoclassicismo inglese) nel 1710 troverà in queste tele una rivelazione estetica. Il risultato di questa illuminazione è contenuto nella frase di Alexander Pope, allievo di Kent, quando dirà che "tutto il giardinaggio è pittura del paesaggio".
Kent, considerato il vero creatore del giardino paesaggistico, non si discosta dai principi di Pope e si ispira direttamente alla natura: cerca di coglierne i contrasti e vuole comporre gli elementi del paesaggio come il pittore potrebbe fare un quadro, utilizza le essenze arboree e le piante per ottenere effetti di luce ed ombra e si serve della prospettiva come strumento centrale per la definizione dei rapporti spaziali. Egli trasforma i paesaggi della pittura di Lorraine in schemi tridimensionali, godibili da più punti di vista predefiniti. Abolisce il piano principale del progetto ed il fuoco prospettico della composizione, e usa la natura per costruire il giardino.
Horace Walpole scrive sui giardini di Kent: "Egli sentì l'incantevole contrasto fra la valle e la collina laddove impercettibile l'una si cangia nell'altra, assaporò l'incanto di una dolce convessità o di un concavo avvallamento, prese nota del modo in cui i boschetti incolti coronavano una dolce altura con felice grazia. … I grandi principi con cui amava lavorare erano la prospettiva, la luce e l'ombra. I gruppi d'alberi venivano ad interrompere un prato troppo uniforme o troppo esteso …laddove la veduta era meno felice, oppure troppo vasta per poter essere abbracciata con lo sguardo, occultava certi spazi in zone d'ombra … e se mancavano oggetti ad animare l'orizzonte , il suo senso architettonico riusciva a trovare una soluzione immediata. I suoi edifici, tempietti e sedili erano la creazione del pennello piuttosto che del compasso".
Il primo giardino paesaggistico inglese è considerato quello di Stowe in cui lavorarono, successivamente, nel 1720 Bridgemann, nel 1730 William Kent e nel 1741 Lancelot Brown. Vediamone adesso le variazioni apportate nel tempo dall'intervento dei tre architetti.
- I 49 - Planimetria generale del complesso di Stowe (1720, Bridgeman), 1738 -
L'impianto suggerito da questo progetto, che mirava a generare una dimensione paesaggistica pur senza raggiungerla compiutamente, ha ancora un grande respiro classico settecentesco, sia nel giardino che nell'intelaiatura delle diverse direzionalità dei viali alberati del bosco, che convergono a formare complicate geometrie triangolari e stellari.
Ma in quella intelaiatura il bosco è tessuto da una serpentina naturalistica, che rifiuta, all'interno del mondo vegetale, qualsiasi riferimento a evidenti tracciati umani, per fini dichiaratamente paesaggistici.
Il suo elemento realmente innovativo è la distruzione della recinzione sostituita dall'haha.
- I 50 - Stowe, la recinzione detta ha-ha (1720, Bridgeman) -
Tutt'intorno all'estesa area del giardino fu costruito questo tipo di 'recinzione', un grande fossato, per consentire alla vista di spaziare oltre i confini.
La battaglia che si svolse in questo giardino, all'interno del suo intricato sistema di presenze architettoniche, di piccoli templi e padiglioni, fu di tipo estetico.
Il primo intervento fu quello di William Kent. Può apparire modesto, ma è fondamentale per l'estetica paesaggistica.
Kent tentò di ingentilire tutti i tracciati rettilinei con materia vegetale.
Tuttavia i perimetri esterni, se non quelli interni, conservarono la loro precedente linearità.
Il suo sistema si fece significativo invece per il sistema idrico. Se ancora gli era comprensibile un viale alberato rettilineo, per lui una vasca d'acqua non poteva che avere un contorno sinuoso ma, ovviamente, modellato sulla serpentina. Così la gran vasca ottagonale in asse con la villa, ed il vastissimo specchio d'acqua triangolare divennero laghetti naturali perdendo il loro precedente valore semantico. Inoltre inserì ponti, monumenti ed anche finte rovine.
Dal 1741 in poi a Stowe lavorò Lancelot Brown che abbattè la mura, eliminò specchi d'acqua sostituendoli con prati e rinfoltì gli alberi del parco. Con una perizia minuziosa fu tolto tutto quello che presentava regolarità geometrica. L'insieme ora pareva, o si credeva fosse, dolcemente e organicamente naturale.
Brown dice che a differenza di Kent non si ispira, com'è in uso nel suo tempo, ai dipinti per poi riprodurli nella realizzazione dei giardini, e critica l'uso dei mezzi semplici come l'ondulazione del terreno, le piantagioni ed i corsi d'acqua. I parchi a lui affidati sono completamente trasformati, con interventi radicali sul territorio che viene deformato, a volte con lavori enormi, finchè non è raggiunto il risultato voluto.
- I 53a - Lancelot Brown, Alnwick Castle. Parco del castello -
Nei suoi interventi, rocce scoscese sono sostituite con dolci pendii e vengono soppressi i fossati che ancora circondavano i giardini intorno alle ville - già introdotti da Bridgeman e tramandati da Kent - in modo che le masse d'alberi possano spingersi fino ai muri della casa.
Là dove esistevano prospettive placide e aperte, egli torna al parco chiuso, ripristinando le cinture arboree che si interrompono soltanto in corrispondenza di vedute.
- I 53b - Lancelot Brown, Sheffield park, East Sussex -
Oltre ad un primo piano di prati inglesi ed un secondo piano d'acqua, Brown cercò dei modi per far sì che uno sfondo di colline erbose ondulate, intramezzate da alberi, sembrasse estendersi all'infinito. Per modellare questo scenario in "salite e declivi graduali" egli non poteva ricorrere a movimenti di terra in grande scala come possiamo fare oggi. Seppe invece fare un uso magistrale degli alberi per modificare i dislivelli: li accentuò piantando alberi lungo le creste, livellò le depressioni riempiendole di vegetazione, nascose le parti meno desiderabili del paesaggio. (Petworth).
- I 53c - Progetti per la piantumazione del parco di Holkhan, disegno a penna di William Kent -
Nella disposizione degli alberi, Brown seguiva i principi che in seguito vennero chiamati belting, clumping e dotting. I belts sono cinture sinuose di alberi che seguono i contorni del paesaggio. I clumps sono fitti gruppi di alberi, di forma circolare, che spiccano nettamente nella prateria circostante. Il dotting consiste nel disseminare alberi o piccoli gruppi di alberi, in ordine sparso nei prati.
Talvolta nei suoi parchi abitavano mucche e pecore, introdotte per fornire al visitatore una scala su cui rapportare il paesaggio apprezzare le dimensioni degli alberi e la profondità della prospettiva; e per proteggere i prati all'inglese dalle pecore e dalla mucche che vivevano nel parco, e preservare allo stesso tempo la continuità visiva dello sfondo con la media distanza, Brown impiegò spesso il ha-ha, tanto caratteristico del suo stile che in seguito i commentatori gliene attribuirono, erroneamente, l'invenzione.
I confini del parco sono di solito formati da cinture d'alberi, serpeggianti ed interrotte da clumps in modo da sembrare naturali, (Bowood, Wimpole). Dove opportuno le cinture si interrompono per aprire al parco vedute della campagna circostante. Quando una cintura appariva insignificante, poteva essere sostituita da un elemento architettonico creato per ottenere un effetto pittoresco (tempietto a Bowood, false rovine gotiche a Wimpole).
Sopra, a chiudere la scena, il nuvoloso cielo inglese con le sue masse ondulate di nubi che sembrano quasi un riflesso delle forme del paesaggio sottostante, e che proiettano le loro ombre sui fianchi delle colline.
- I 54 - Lancelot Brown, Alnwick Castle. Fiume Aln e parco, 1722 -
Immancabile in ogni suo parco è la presenza di un fiume o comunque dell'acqua: Brown è capace di trasformare completamente l'aspetto di un tortuoso ruscello facendone un placido corso d'acqua, deviandolo se necessario. Innanzitutto, l'acqua doveva vere nobili proporzioni in rapporto alla casa ed al paesaggio circostante, e di solito ciò significava l'impiego di dighe. Ma tutti i segni di artificio dovevano essere nascosti, le dighe dovevano essere dissimulate, per esempio come falsi ponti, ed i corsi d'acqua artificiali dovevano svanire naturalmente in lontananza, usando colline ed alberi per nasconderne le estremità. Le rive, relativamente sgombre da cespugli e alberi, dovevano assumere la forma sinuosa della "linea di bellezza", la serpentina, di origine cinese.
Gli inglesi di educazione classica consideravano allora la natura come una forza immanente che tendeva alla perfezione, ma che poteva essere deviata dal suo corso da infelici accidenti.
Interrogare il genio del luogo significava cercare di comprendere la potenziale perfezione naturale di un luogo ed aiutarla ad emergere, se necessario, mediante interventi discreti.
Nella 'Storia di una Pietra', il grande romanzo cinese del settecento, c'è una scena in cui il padre , Jia Zheng, osservava, a proposito di un giardino appena costruito: " Queste vedute e questi padiglioni - e perfino le rocce, gli alberi e i fiori - sembrano in qualche modo incompleti senza il tocco di poesia che soltanto la parola scritta può dare ad una scena". Allora i personaggi fanno un giro per il giardino, suggeriscono nomi per ciascuna delle sue molte parti, e scrivono dei versi commemorativi. Il giardino è così completato davanti agli occhi del lettore.
Così in Inghilterra si consolidò la tradizione relativa ai nomi per i giardini, per la maggior parte nomi classici: valle di Venere, tempio della concordia, campi elisi,…
Più enigmanticamente, per i nostri orecchi moderni, i commentatori del XVII e XVIII secolo dichiaravano spesso di aver scoperto, in qualche giardino particolarmente ammirevole, lo sharawaggi. Questa parola, che gli studiosi del tempo interpretavano come la corruzione di qualche espressione cinese, indica un che di piacevolmente intricato, apparentemente in modo casuale, un'asimmetria e un tocco di cineseria.
Bisogna ricordare come questo tipo di giardino, a parte le contaminazioni oggettuali, fu chiamato anche anglo-chinase, e non è un caso. Quando alla fine del XVIII secolo l'Inghilterra si avvia verso la rivoluzione industriale si configura come il più prospero paese dell'Occidente, in cui stabilità economica e l'espansione coloniale permettono la circolazione della ricchezza e di beni esotici che vengono sottoposti a studi, per poi essere anche utilizzati per abbellire i parchi dei signori.
Quindi i giardini cinesi diventano un referente estetico per la formazione del giardino paesaggista inglese, e l'arte dei giardini cinesi introdotta da Chambers viene così commentata: La natura è lo scopo dei cinesi e loro scopo è imitarla, prima di tutto imitando la natura del terreno: se è pianeggiante o pendente, se vi sono colline o montagne, se è piccolo o grande, se è asciutto o paludoso o abbonda d'acqua.
Il giardino cinese è distribuito in varie scene con paesaggi tortuosi in mezzo a boschetti …lungo i percorsi vi sono vari oggetti che possono essere, a seconda della scena, d'orrore, di gioia, di sorpresa. …Essendo poi la Cina un paese mite, c'è abbondanza d'acqua e tante isolette, le rive sono trattate secondo natura: spoglie o ricoperte dalla vegetazione, o ancora rocciose …i fiumi seguono raramente la linea retta …Quando l'acqua è abbondante vi sono cascate …L'importante è spiegare la regolarità imitando la natura".
Ma la cineseria settecentesca non fu molto di più che un facile modello che replicasse forme lontane, laddove il giardino cinese ha fondamenti ben diversi da quelli del giardino settecentesco.
Cina e Giappone
Il buddhismo - Chian in Cina e Zen in Giappone - porta a concepire il giardino come un microcosmo che invita alla meditazione e alla contemplazione.
Il giardino cinese ha una tradizione che risale al III sec.a.C; tuttavia si può parlare di un vero e proprio stile soltanto a partire dal I sec.d.C..
Secondo l'antica Scienza cinese dei Venti (feng) e delle acque (shui), la terra è attraversata dal respiro della natura (feng-shui = geomanzia). Le caratteristiche del terreno rivelano la presenza di draghi azzurri (il principio maschile) e di tigri bianche (il principio femminile) ed i siti propizi per la costruzione dei giardini si trovano dove le diverse correnti che essi rappresentano si incrociano.
L'arte del feng-shui consiste nello scegliere esattamente il punto giusto.
Il giardino che nasce dove le correnti si incrociano è il risultato dell'eliminazione del superfluo per raggiungere la pura essenza.
- I 55a - Un padiglione dell'Umile Amministratore -
Uno dei giardini più belli di Sozhou, circondato da un centinaio di bonsai, piante potate e modellate, pezzetti di montagna che diventano pietre o ghiaia, paludi o acquitrini che alludono ai laghi, e se contengono frammenti di terra, a isole o arcipelaghi. Sono frammenti di un mondo più vasto, mondi miniaturizzati di monti e acque.
Nel X secolo, agli albori della civiltà europea, Cina, Giappone e Corea giungono a vette di raffinatezza e di cultura artistica raramente eguagliate. La maggiore conquista di quest'epoca è senza dubbio la pittura cinese di paesaggio, eseguita per lo più a inchiostro su seta o su carta, in rotoli sia orizzontali che verticali. Questi paesaggi meravigliosi sintetizzano sotto una luce siderale l'essenza della natura in uno stile calligrafico e astratto. Rappresentando profondità spaziali, picchi montani, rocce muschiose, alberi contorti e pittoreschi e nebbiose atmosfere, in un paesaggio vaporizzato, colgono non solo l'aspetto esteriore ma il vero spirito della natura maestosa e misteriosa.
L'uomo quando è ritratto è minuscolo così piccolo da essere integrato nella grandezza del cosmo di cui è solo una infinitesima parte.
- I 55b -Xilografia di Lin Ching
I giardini cercavano di realizzare nella realtà questi paesaggi, stenografati come ideogrammi, attraverso suggestive rappresentazioni dello spazio e dell'atmosfera e percorsi discretamente tortuosi, perché il labirinto suscita sempre meraviglia e prolungando il tempo della passeggiata prolunga anche il piacere del visitatore.
Il giardino cinese è dominato dalla dialettica degli opposti: diritto e tortuoso, angoli fastosi e celebrativi contrapposti a quiete dimore campestri adatte e pratiche mistiche e contemplative.
- I 55c - Tipico quadro dei giardini cinesi -
- I 55d - Padiglione che segna l'arrivo della Via Sacra a Pechino -
In questa accettazione e comprensione dell'intima armonia del mondo naturale, l'uomo vero trae la forza necessaria per astrarsi dalle cose del mondo.
Sin dal secolo XV i libri sui giardini cinesi illustrano come comporre un mondo che appare solo casualmente naturale, ma in realtà è minuziosamente progettato secondo le regole dell'architettura cinese, ispirata al pensiero dei monaci buddhisti. Gli elementi devono essere disposti non più intorno ad una fonte centrale com'era nel giardino persiano, ma devono partire da una pietra guardiana centrale. E' questa la rappresentazione del Mandala, il diagramma magico nel quale la concezione buddista del mondo viene resa in termini simbolici, col grande Buddha cosmico al centro attorniato da una moltitudine di esseri a lui sacri.
Forma perfetta quindi in cui tutte le parti sono equidistanti dal centro, simbolo di una divinità sulla quale il discepolo deve meditare per realizzare dentro di sé l'essenza della divinità stessa. L'espressione più importante di questa concezione è l'isola centrale, dove la tradizione vuole che trovino la felicità gli immortali.
- I 55e - Ponte e padiglione all'interno di un parco publico a Souzhou -
Il mistero e l'enigma, il dramma e la natura visionaria sono caratteri fondamentali del giardino esotico dell'estremo Oriente. Quel modo di comprendere, simulare e perfezionare la natura si risolve in miraggi non evidenti al primo sguardo, ma che si lasciano scoprire un po’ alla volta.
- I 55f -Giardino Liù a Souzhou -
Vicina alla concezione cinese è quella del giardino all'inglese - all'insegna della casualità e dell'insofferenza per i canoni geometrici - che i francesi chiamano anglo-cinese per sottolinearne l'ispirazione.
Gli orientali, infatti, creano figure di grande bellezza, ma prive di un ordine che possa essere immediatamente e facilmente riconoscibile, e chiamano questa loro mancanza di geometria shawaraggi, ovvero asimmetria pittoresca. Al di sopra e al di fuori di ogni ordine geometrico e prospettico c'è la bellezza della natura.
E' fuori di dubbio che i cinesi concepirono il paesaggio come gioia dell'occhio e lo usarono in questo senso anche attraverso la costruzione di padiglioni posti nei punti più suggestivi. La progettazione dei giardini non è intesa come espressione di scienza ma appartiene all'arte, non nasce da calcoli geometrici ma dalla conoscenza dell'animo umano ed esprime stati della coscienza.
Le montagne stabiliscono un collegamento tra il mondo degli uomini e le sfere celesti, dimora degli dei, in un gioco di metafore, dove la natura è un'entità con cui si deve ingaggiare un duro confronto, nel quale si realizza un destino. Ogni elemento che viene collocato in questo speciale mondo delimitato assume un significato singolare, misterioso, allusivo.
- I 56 -Pianta del giardino cinese secondo il feng-shui ed il feng-shui giapponesizzato -
La stessa esaltazione della natura che è tipica del giardino cinese conduce invece i giapponesi ad allontanarsene, riducendo e semplificando sempre più gli elementi
- I 57 - Suizen-ji (tempio di fronte all'acqua), Kumamoto.
e lasciando che il giardino diventi essenzialmente un'opera filosofica dove la presenza dell'uomo è avvertita come un'intrusione.
Gli alberi, le piante, restano riconoscibili, ma divengono forme archetipe, essenziali, che ritmano uno spazio nuovo, astratto, nel quale non può interferire nessuna presenza umana.
- I 58 - Giardino di Byodo-in, Kyoto, 1052 - (rappresentazione del paradiso di Amida)
E' la ricerca di una forma assoluta la di là del superfluo; il sogno di un giardino mentale, puro e incantato; un'imprevedibile applicazione della filosofia al paesaggio, visto interpretato in modo sintetico, rigorosamente disciplinato dall'intelletto. E' un paesaggio rielaborato e corretto geometricamente, come voler cercare di dare forma assoluta, limpida nella quale perdersi per dedicarsi alla meditazione.
Il termine per 'paesaggio' è scritto con due caratteri che identificano contemporaneamente una opposizione elementare e una complementerieta' : Shan (monti) e Shui (acque). Le forme rigide ed erette delle montagne sono Yang rispetto al sottomesso ed arrendevole Yin delle acque. Le une e le altre si modellano a vicenda. Il carattere di un sito si sviluppa dall'equilibrio di shan e shui, almeno alla scala dei tempi geologici.
Dall'acqua di un sito, di per sé priva di forma, possono emergere forme yin che integrano quelle del terreno e completano l'insieme (yin-yang). Le valli danno forma ai torrenti, ruscelli e fiumi. I dislivelli creano rapide, salti d'acqua, cascate. Le depressioni possono accogliere pozze, stagni o laghi. Terra e acqua si mescolano in paludi e acquitrini.
- I 59 - Giardino del Castello di Nijo, Kyoto, 1603 -
Quindi uno degli impulsi fondamentali ed universali degli artisti è quello di ridurre, cancellare, suggerire sempre più con sempre meno. Il giardino giapponese di rocce e sabbia, dove l'acqua è soltanto suggerita con la sabbia, e grandi montagne sono indicate con poche rocce, è forse il perfetto giardino ideale, il giardino dello spirito. In esso come scrisse Tessen Soki, un monaco Zen del XV secolo, "appare l'arte di ridurre trentamila miglia alla lunghezza di trenta centimetri". Può essere che egli sia stato il progettista del più celebre dei giardini di questo tipo, il giardino di Ryoan-ji, un monastero nei pressi di Kyoto.
Le rocce del Ryoan-ji su un piano di sabbia rivelano la concezione zen dell'essenza dello shan-shui (terra-acqua . Le montagne sono Yang rispetto al sottomesso ed arrendevole Yin delle acque).
- I 60 - Giardino del Monastero Ryoan-ji, Kyoto -
Questo giardino ha all'incirca le dimensioni di un campo da tennis, è coperto di luminosa sabbia di quarzo accuratamente rastrellata, e cinto a sud e a ovest da un basso muro, oltre al quale splende una lussureggiante foresta.
- I 61 - Monastero Ryoan-ji, Foresta del complesso Daiji-in -
I lati meridionale e orientale sono per lo più costituiti da piattaforme con veranda dalle quali guardare il giardino di sabbia.
- I 62 - Pianta del Giardino del Monastero Ryoan-ji, Kyoto -
Nella sabbia ci sono quindici pietre, disposte in cinque gruppi. Da ogni punto se ne possono vedere quattordici. Con la loro armoniosa disposizione hanno suscitato la meraviglia di ogni visitatore che di volta in volta hanno descritto la composizione come un quadro raffigurante delle tigri con i loro piccoli che attraversano un ruscello, oppure come un paesaggio marino, dove la sabbia rappresenta l'oceano e la rocce rappresentano le isole, oppure come un diagramma di punti fissi nel cosmo, o infine in un modo più propriamente zen, come nient'altro che sabbia e rocce.
Nel suo libro The Japanese Garden, Itoh Teiji lo definisce "l'ideale di un giardino; il modello vivente di un giardino perfetto".
Contemplare le 15 pietre del disegno non è lo stesso che essere là; ma già nell'assonometria le pietre sono così perfette, così perfettamente equilibrate all'interno di ciascun gruppo e i gruppi tra loro da suggerire la sensazione di calma concentrata provocata nel rapito osservatore.
- I 63 - Giardino del Monastero Ryoan-ji, Kyoto -
Non pretendiamo di conoscere l'esatta ragione. Nessuna interpretazione cosmologica è realmente comprensibile da noi, ma qui c'è indubbiamente un potere che va oltre la comprensione.
Il Ryoan-ji ci parla di miniaturizzazione, di comprensione dell'universo entro un raggio di pochi metri, e di un lavoro di semplificazione, eliminazione, soppressione, cancellazione di tutto ciò che non contribuisce direttamente all'idea centrale (non c'è dubbio che al Ryoan-ji ci sia un'idea centrale, per quanto essa possa eludere i nostri tentativi di definirla). Nel tardo Novecento, la maggior parte di noi deve miniaturizzare ancora più drasticamente per ridurre tutto il nostro mondo nello spazio che abbiamo a disposizione. Il Ryoan-ji dimostra che da una rigorosa inesorabile riduzione può venir fuori, come gli artisti hanno sempre saputo, non già una realtà ridotta e striminzita, ma al contrario una visione, purificata e liberata, grande quanto lo stesso universo.
Il giardini orientale rimandano all'idea di leggerezza, alla ricerca del punto dell'equilibrio perfetto o alla scoperta della sua precarietà in un gioco fra armonie e dissonanze, fra certezze e dubbi, fra realtà e apparenza.
Ricordiamoci come il tiro con l'arco, l'ikebana e scrivere con l'inchiostro di china sono le tra arti propedeutiche alla filosofia zen: la bellezza e la perfezione della scrittura; la simmetria e l'ordine nella disposizione dei fiori che, dalla vita alla morte, rappresentano una nutrita simbologia (sesso della pianta, origine della vita, espressione di vari sentimenti); il tiro con l'arco che scopre l'onda naturale giusta per seguirla, insegnano agli uomini più che a proteggersi dalla natura o a dominarla, ad entrarvi in stretto rapporto. Questa tre attività hanno in comune agli occhi degli occidentali la caratteristica della pazienza condotta fino all'esasperazione del gesto, ma in realtà vanno ben oltre: sono riconducibili alla filosofia del non intervento, rispetto sia alla natura che all'uomo. E' la ricerca dell'onda naturale giusta, del perfetto equilibrio, dell'ideogramma che non è soltanto la rappresentazione sintetica dell'oggetto che s'intende descrivere, ma la sua essenza.
- I 64 - Giardino del Monastero Ryoan-ji, Kyoto -
Mi piace concludere con questa immagine di Van Gogh che rappresenta uno dei simboli, l'iris giapponese, del giapponesismo europeo, che grande influenza ebbe nei giardini occidentali. Influenza meno appariscente della moda della cineseria settecentesca ma più sostanziale in quanto tentava di capire il significato ed il metodo oltre che usarne i materiali e gli elementi in maniera sempre più raffinata.
- I 65 - Vaso con iris, Vincent Van Gogh, 1890 -
Quando Van Gogh (1853-1890) dipinge, trascrive ciò che la natura gli dice: "Vedo che la natura mi parla, mi dice qualcosa che io scrivo come se stenografassi. In questa stenografia possono esserci parole indecifrabili, errori o lacune, ma qualcosa è rimasto di ciò che hanno detto quel bosco o quella spiaggia o quella figura" (lettera del 1882).
Il giardino è passaggio dal nomadismo alla vita sedentaria, terreno racchiuso e circondato da un muro, come il viridarium dei romani, protetto da Apollo e Priapo, dio dei giardini. E' l'hortus conclusus dei monaci e l'orto delle piante officinali delle monache. Pg 24 il giardino.
Durante la prima metà del XVIII secolo, realizzando l'ideale pastorale della campagna inglese, progettò i parchi dei suoi aristocratici clienti utilizzando semplicemente gli elementi che aveva a disposizione: colline ondulate con pendii erbosi e gruppi di alberi, mucche, pecore e cervi, acqua calma nebbia e nuvole. Il suo metodo consisteva nel partire dalla configurazione preesistente di questi elementi, cioè dalla potenzialità del sito, per poi "migliorarla" in modo che corrispondesse più da vicino alla sua idea di bellezza naturale, fiducioso, da buon conservatore, nella possibilità di un progresso verso la perfezione per mezzo di aggiustamenti e riforme graduali. Burke-bellezza, William Hogarth perorava l'uso della sinuosa "line di bellezza"(Analisis of beauty), curva graziosa e non la stretta serpentina bidimensionale del rococò, ma una serpentina tridimensionale dolce e rilassata.
Un tipico paesaggio browniano è un vasto parco ove trova luogo una grande casa di campagna. Ampi prati inglesi circondano la casa fino a lambirne, talvolta, i muri. Questo primo miglioramento era spesso realizzato distruggendo i preesistenti giardini, di solito all'italiana. Ed i critici non sempre approvavano: la mano desolante del miglioratore che lasciava la casa in mezzo ai prati rasati che si allontanano a perdita d'occhio in una infinita distesa ondulata.
Di solito i prati scendevano in lieve pendenza fin alle rive di un fiume o di un lago, sicchè quando si guarda dalla casa verso il parco o dal parco verso la casa, l'acqua forma un elemento di secondo piano. La possibilità di creare un corpo d'acqua era determinata dalla morfologia del terreno e dal suo drenaggio, ma il suo carattere derivava dalle idee sulla bellezza naturale proprie di Brown.
Anche gli inglesi hanno inventato un complicato ed affascinante gioco di classificazione delle scene di paesaggio secondo categorie estetiche. Edmund Burke vi diede inizio, o almeno statuì alcune delle regole più importanti, stabilendo le definizioni del bello e del sublime.
Il bello è caratterizzato dalla piccolezza, dalla regolarità e alla gradualità della variazione (ed sarà successivamente esemplificato dai dolci paesaggi progettati da Capability Brown). Scriveva Burke in 'Ricerca filosofica su l'origine delle nostre idee del bello e del sublime', 1756: il tipo di sensazione che hanno avuto viaggiando velocemente in una comoda carrozza su un liscio tappeto erboso, con salite e declivi graduali. Questo darà un'idea di bello meglio di qualsiasi altra cosa".
Il bello si contrapponeva al sublime caratterizzato invece come terribile, irregolare e selvaggio: montagne, abissi e bestie feroci.
Verso la fine del XVIII secolo, William Gilpin e Uvedale Price (nel suo Essay on the Picturesque, 1794) resero popolare il termine "pittoresco". Price suggeriva che esso dovrebbe essere applicato a qualsiasi "tipo di scenario che sia stato, o potrebbe essere rappresentato con buon effetto nella pittura". Si riferiva alla pittura romantica del paesaggio, con le sue scene caratterizzate da irregolarità e variazioni improvvise.
Il pittoresco tende verso il sublime, ma senza quel forte carattere di terribile e d'infinito, ed evita la regolarità del bello. Di esso fa parte anche l'imprevisto. Il progettista di giardini paesaggistici Humphry Repton fu prolifico esponente della componente pittoresca, ed il suo stile fu imitato in innumerevoli parchi e giardini dell'ottocento e del primo novecento. Poetica pg 53-4.