MODULO DI ARTE DEI GIARDINI

prof. Enza Stagnini

APPUNTI LEZIONE 1

 

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IL  LUSSO  DELLA  PAUSA

(Egitto, Mesopotamia, Persia, Grecia, Roma, Medioevo, Islam)

 

Eugene Jonesco affermava nel marzo 1960 durante una conferenza alla Sorbona : "Più si è soli, più si è in comunicazione con gli altri, mentre nell'organizzazione sociale, che è organizzazione di funzioni, l'uomo si riduce alla sua funzione alienante".

Che cos'è il giardino?

Citando Sante Graciotti  "Il giardino è un tipico luogo utopico, nel quale l'uomo si sforza di far emergere, sfruttando gli elementi del mondo reale, il mondo tendenziale dei suoi sogni".

Noi diciamo che il giardino è il luogo del desiderio, il luogo dove l'immaginario prende corpo nelle luci e nelle ombre.

Marcel Proust dice che "l'immaginazione riguarda solo quello che non c'è".

Noi diciamo che il giardino nel suo divenire promette quello che il nostro desiderio ci fa immaginare.

Il giardino è un luogo dove la mano dell'uomo modella lo spazio considerando che la materia su cui opera è viva.

Nel giardino si conserva immutata la promessa del divenire.

Nel giardino si perpetua il mutamento di cui la natura si serve per testimoniare lo scorrere del suo tempo che non coincide con il nostro tempo, il tempo dell'uomo.

E proprio questa asincronia, a parer nostro, tra il tempo dalla natura ed il tempo dell'uomo è ciò che informa lo stato di sospensione proprio di qualsiasi esperienza 'naturale'.

Il 'perdersi nella natura' è una definizione familiare a chi cerca la dimensione naturale come esigenza vitale.

Ma c'è una differenza: la forma di natura della nostra attuale riflessione la troviamo nel giardino, è vero, ma la troviamo anche nel paesaggio.

Dov'è la differenza? Cos'è che fa la differenza? Ci viene da rispondere la dimensione, cioè la misura.

Desiderio e misura?

 

I paesaggi dentro cui riusciamo a sentire la vita intorno a noi e dentro di noi nella sua forma più naturale sono la testimonianza di quanto detto.

 

Ma il paesaggio naturale non è ancora giardino: è soltanto attraverso la selezione e la composizione di elementi naturali e di materiali che si ottiene il giardino.

 

Riflettiamo … ricordiamo se è possibile le due diverse sensazioni provate tra lo stare in un diciamo paesaggio naturale e lo stare in un giardino… La differenza più facile da registrare sta forse nei diversi sentimenti di solitudine, o meglio, nelle forme diverse di questo sentire.

 Abbiamo associato le parole desiderio e misura?

  In un paesaggio, che contiene in sé il concetto di illimitato, (forse) la forma in cui sentiamo la vita che fluisce intorno a noi ci rimpicciolisce talmente fino ad annullarci, in un fluire intenso quanto indistinto, in un tempo incommensurabile, inesistente se non eterno.

E se non abbiamo la paura che ci ferma fino allo smarrimento?!

  

In un giardino, che invece contiene in sé un confine anche se immateriale però esistente, il concetto di limite riduce anzi forse inverte il rapporto dimensionale tra noi lì e la natura intorno. Essendo quindi un giardino commensurabile ci porta ad una nostra seppur involontaria automisurazione, e quindi testimonianza di esistenza.

 

Il risultato che crediamo sia inevitabile è quello di assistere, attraverso il salto dimensionale, alla trasformazione di quella sensazione imprescindibile di vita che esperiamo nel paesaggio, e che abbiamo tentato di definire 'annullamento in un intenso fluire indistinto', in una sensazione di vita più vicina al vivere dell'uomo dentro se stesso e non dentro la vita;

assistiamo cioè alla trasformazione di quella sensazione in ciò che del flusso vitale appartiene all'uomo rispetto alla vita in quanto 'suo vivere' e non in quanto 'esistenza'.

Stiamo parlando del desiderio.

 

Il desiderio o lo smarrimento sono dei sentimenti che potremmo definire liberi, infatti possibili nel loro sentire soltanto quando l'uomo esce da se stesso per entrare nella natura.

Quella natura che definendosi spettacolo afferrato e fatto proprio dal sentimento genera in noi il concetto di paesaggio

come parte integrante della nostra coscienza.

Dal 'sentimento del paesaggio' che Simmel (1912-13) chiama "sentimento particolarmente profondo della natura"

alla sensibilità per la particolare 'forma di paesaggio' deve avvenire una lacerazione rispetto al sentimento unitario della natura universale, quando cioè nell'epoca moderna nasce il desiderio del singolo di essere una totalità, compiuta ed indipendente.

Ma anche se volgiamo considerare natura e paesaggio aspetti autonomi di una unità cosmica, non possiamo prescindere dall'affermare che l'idea di paesaggio è legata al senso di meraviglia destato dalla contemplazione della natura.

"Paesaggio - scrive Joachim Ritter (1904-74) - è natura che si rivela esteticamente a chi la osserva e la contempla con sentimento". Questa rivelazione estetica quindi si manifesta quando l'uomo si rivolge alla natura senza scopi pratici, senza fini utilitaristici. La natura diventa libera, affrancata dallo sfruttamento.

In essa entriamo quando usciamo nel paesaggio.

La natura come paesaggio è frutto e prodotto dello spirito teoretico, dove teoria in greco significa contemplazione. Per l'abitante della campagna la natura è sempre quella del luogo natio, quella cioè inerente alla sua esistenza lavorativa: il bosco è il legno, la terra il campo da coltivare, l'acqua il fondale pescoso. Come fare a guardare oltre ciò che vive al di là di questa zona, così delimitata; non c'è alcuna ragione di uscire per cercare la libera natura in quanto tale e abbandonarsi alla sua contemplazione. I monti, al massimo possono essere il luogo del tempo atmosferico oppure sede degli dei.

Il paesaggio diventa natura soltanto per colui che "esce" (transcensus), per partecipare "fuori", attraverso il piacere della libera contemplazione, alla natura in quanto "totalità", presente e vivente: "Quando la dolce valle vapora attorno a me (così Goethe nel Werther) e il sole alto riposa sulla superficie dell'impenetrabile oscurità del bosco" e "quando intorno ai miei occhi si fa sera e il mondo attorno e il cielo tutto riposano nella mia anima", allora sento "la presenza dell'Onnipotente che ci ha creato a sua immagine e somiglianza, sento lo spirito dell'Amore Infinito che in eterna delizia ci conduce e ci sostiene".

Ascoltare ed osservare con meraviglia è contemplare, mettere in moto il meccanismo della riflessione.

E non é forse dalla riflessione delle forme in noi contenute e così evocate dalla nostra anima che le immagini dei nostri sogni e quindi il nostro desiderio prende forma?

Ed è proprio il giardino che assicura quell'idea di misura, di cui si parlava all'inizio, necessaria per riuscire a canalizzare la meraviglia della contemplazione della natura dentro noi stessi.

 

Perché il giardino ci insegna ad aspettare: ci invita, nel silenzio, anzi ci obbliga, se ci fidiamo di lui, a liberarci dalla frenesia del nostro vivere che testimonia la paura di trovarci con noi stessi.

Oppure ci consola: le promesse contenute nel suo perenne mutamento ci permettono, forse, di credere nel nostro desiderio e quindi nella possibile soddisfazione del nostro esistere.

Aggiungiamo adesso 'luogo dell'equilibrio tra la paventata verità e il desiderio'.

 

Scrive Rilke in una lettera del 13 nov 1925 " le cose animate, vissute, le cose che ci conoscono si avviano al tramonto e non possono essere più sostituite. Noi forse siamo gli ultimi che le hanno conosciute ancora. Pesa su di noi  la responsabilità (…) di conservarne il ricordo".

 Nel sentimento e nella produzione estetica, poesia ed immagine testimoniano ciò che senza la loro mediazione è destinato a scomparire.

Responsabilità quindi di chi vive nel sentire riuscire a trovare il mezzo non soltanto di  testimoniare l'esperienza del sentimento ma di provocare la meraviglia di chi indugia nella … sordità.

 

Noi sappiamo che il progetto è un'avventura estetica, che nasce dentro di noi: l'idea che si illumina trae la propria forza dalla forma che il nostro 'sentire' ha determinato nel nostro immaginario, e poi si procede per astrazioni ed esclusioni e successive approssimazioni  fino al compimento dell'organismo architettonico al quale, come fosse un essere vivente alcuna parte può essere soppressa senza determinarne la morte.

Le esclusioni cioè la descriminazione tra la vastità di scelte a disposizione può essere dettata da vincoli esistenti (leggi, normative, economie, vincoli orografici, …)

Le astrazioni è semplice capire quanto siano legate all'esigenza estetica, permeata da un lato dall'intenzione anzi dalla necessità di rendere sensibili le suggestioni conservate nel nostro immaginario e derivate quindi dal nostro personale sentire, e dall'altro dalla necessità di tradurre attraverso dei segni i bisogni propri del progetto stesso.

Se da un lato quindi assistiamo alla rivelazione di un tessuto di segni che si portano appresso, anche senza la nostra volontà, una valenza estetica, dall'altro assistiamo alla definizione di spazi che devono rispondere ad esigenze precise. Esigenze che possono essere di valenza rappresentativa per esempio di ricchezza, oppure esemplificativa di potere, o semplicemente testimoniale di modi di vivere.

 

Per questo tentiamo di percorrere la storia del giardino nei secoli, seppur per cenni esemplificativi.

Iniziamo dall'origine della parola 'giardino'.

La stessa origine della parola giardino è la radice semitica G-N: gan in ebraico e jinna in arabo, parola che individua tutto ciò che si contrappone al deserto; alla stessa radice risale anche la parola magnum che in arabo significa velato.

Dal Genesi, 2,8-10 / 2,15 : "Poi il Signore Iddio piantò un giardino in Eden, ad oriente, e quivi pose l'uomo, che aveva formato; e il Signore Iddio fece germogliare dal suolo ogni specie di alberi piacevoli d'aspetto e buoni da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino, e l'albero della conoscenza del bene e del male .In Eden nasceva un fiume che irrigava tutto il giardino e quindi si divideva in quattro capi.

 (…) Il Signore Iddio prese dunque l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse (…)".

Il Paradiso ebraico quindi, il gan-eden del Genesi, il primo luogo dell'umanità secondo le Sacre Scritture, è un giardino, luogo di delizie, poi occultato, velato agli occhi del peccatore, dell'uomo che ha perso il dono della vista soprannaturale.

Ma all'idea di Giardino appartiene anche l'azione del delimitare un terreno con siepi o muri, per escludere da esso il disordinato mondo: nel Paradiso dell'antica Persia, infatti il pairidaeza persiano (attribuito a Zaratustra VI sec.a.C. circa) proviene dalla combinazione delle due parole pairi=tutt'intorno e daeza=baluardo, o come nel greco paradeisos, che significa giardino di delizie, dove la recinzione non ha soltanto uno scopo pratico, che è quello di difenderlo, un tempo da animali selvatici, oggi dagli uomini insensibili alle bellezze della natura, ma delimita l'antico tèmenos greco, lo spazio sacro, ed è anche accettazione di un limite.

Nel Corano, scritto dopo la morte di Maometto (632), 'giardino' e 'paradiso' si confondono idealmente: i fedeli vivranno in un fresco paradiso e si descrivono le delizie che li aspettano. I fedeli saranno adagiati su alti giacigli e non vedranno "né sole né gelo", ma godranno della compagnia di "fanciulle segregate in freschi padiglioni", vivranno in giardini ricchi di palme e melograni dove c'è frutta in abbondanza, dove ci sono fiumi di vino, di latte e di miele, verdi pascoli solcati da "fiumi di acqua incorruttibile".

 

Sappiamo adesso che il giardino ha origini medio orientali ed abbiamo individuato l'origine delle invarianti del giardino: il recinto o il recintare - in cui possiamo identificare il mezzo per isolare la nostra natura dal mondo corrotto, gli alberi - che possiamo leggere come simbolo di vita cioè ciclo vitale sostentamento, e l'acqua - simbolo della purificazione (lo stesso nome del fiume Giordano deriva da giardino, e la fonte centrale, anche nel giardino persiano, è la radice divina dell'Essere. La sorgente di vita che mai può inaridire.)

 

 

Egitto

 

- I 1- Grafogramma Sumero, 3000 a.C., che raffigura compiutamente un giardino con l'albero piantato al centro, all'interno del recinto triangolare -

Ed è sempre in medio oriente che nasce l'idea di giardino per necessità estetiche, della vista e dell'odorato.

Assurbanipal, piantumo' cedri e bossi, "alberi che nessuno dei re , miei antenati ha mai avuto".

Questa idea di giardino nacque e si radicò nelle società che potevano permettersi l'impiego di parte del reddito per la qualificazione delle proprie città , dei templi, delle residenze con i giardini.

A quel tempo in Europa, i Greci, gli Italici, i Celti ed i Germanici avevano un rapporto con il mondo vegetale di semplice utilità agricola, oppure un rapporto di tipo religioso: una radura nella foresta formava il Bosco Sacro, simbolo del rapporto primigenio uomo/natura.

Saranno le interconnessioni tra il mondo classico greco ed il medio oriente a portare in Europa quell'idea di Giardino  dove essa con l'avvento dell'età ellenistica imboccherà un nuovo percorso storico.

 

Dove la natura, dunque, sembra più ostile, tra la sabbia dell'Egitto e della Mesopotamia, forse il desiderio di veder fiorire il deserto, fece nascere i primi giardini, almeno quelli documentati.

 

- I 2 - Villa Mekrete, nota come 'Casa Delle Bambole', modello Metropolitan Museum NYC, disegno di L.Manniche

Nel modello di casa rinvenuto in una camera mortuaria di un notabile intorno al 2000 a.C., il giardino ha un valore predominante rispetto all'edificio, ridotto a quasi più di un portico.

E' una sorta di prototipo costituito da uno spazio rettangolare, recinto da alti muri e caratterizzato da una grande vasca d'acqua attorniata da sicomori.

 

- I 3 - Da una pittura tombale del re tebano Himire del 1430 a.C. - Schema grafico ci racconta un giardino geometrico di una casa privata, con al centro una vasca d'acqua tanto grande da permettere al proprietario di navigare, circondata da filari di palme ed alberi.

 

- I 4 - Da una tomba tebana di un alto funzionario di Amenophis III (ca. XIV sec.a.C.) – Tav 3 - l'immagine offre una raffigurazione di un antichissimo giardino circondato da mura e suddiviso in scomparti regolari da bassi muretti.  Il terreno è simmetricamente diviso in aiuole, vasche d'acqua con fiori ed uccelli acquatici ed è circondato, all'interno del muro, da filari di palme, cipressi tamarindi, fichi, sicomori. L'abitazione si affaccia su un'ampia zona coperta da pergole di viti. (I giardinieri egiziani erano infatti particolarmente abili oltre che essere stati i primi a realizzare questa coltivazioni in forma di pergolati o di filari: una tecnica che è stata successivamente esportata nell'Europa occidentale e sopravvive ancora oggi.)

 Vediamo quindi come il giardino egiziano tende ad isolarsi dal contesto ostile ed estraneo che lo circonda, plasma il deserto e rende fertili, irrigandole, terre sterili, creando attraverso l'artificio della composizione, ambienti suggestivi ed accoglienti come quello dell'immagine. Acqua e ombra sono elementi fondamentali, peraltro comprensibili in una terra dove i raggi del sole sono particolarmente intensi, ma non di minore importanza sono le partiture rigorose e la geometria del disegno, che non stupisce in una civiltà molto avanzata nella matematica, nella geometria e nell'astrologia.

Il perimetro di forma rettangolare accentua la geometrizzazione dell'impianto ulteriormente sottolineato dagli alti muri di cinta, cui spesso si addossano edifici, che isolano ancora di più il giardino dal suo esterno. I significati della recinzione sono molteplici e vanno inquadrati nel contesto geomorfologico: territori piani, circondati da aree desertiche rotte talvolta dalla vicinanza del Nilo, fonte di vita, di vegetazione e d'acqua, ed apportatore di un clima più gradevole. La definizione di un perimetro crea ordine e sicurezza, le mura separano un mondo ben definito e strutturano dalla caoticità imprevedibile della natura desertica che lo circonda.

 

E' l'inizio di quella contrapposizione fra il dentro ed il fuori, fra i canoni, le proporzioni e le regole del giardino recinto ed il caos esterno, identificabile con il 'selvaggio' della campagna. Una contrapposizione che troverà nel Rinascimento italiano, molti secoli dopo, la sua più alta e compiuta espressione. Così le mura assumono una funzione psicologica, di riparo dalle indiscrezioni esterne, dalle introspezioni, ma anche quella definizione di un ambiente intimo, privato e sacro, di un ambito riparato e separato in quanto le mura sono erette a protezione di eventuali scorribande di tribù straniere ed ostili, di belve feroci o più semplicemente dai venti e dalle tempeste di sabbia. E non ultimo, la definizione di un perimetro preciso permette di curarne l'interno, di irrigarlo e di mantenerlo secondo criteri razionali e standard estetici elevati.

Ai fiori e alla piante erano rivolte molte cure; fra queste l'irrigazione costante che veniva fatta a mezzo di anfore piene d'acqua poste al termine di un'asta bilanciata su un giogo che, manovrata da un giardiniere, attingeva acqua da una fonte principale e la distribuiva nelle varie parti del giardino. Ma non meno attenzione veniva data all'estetica della composizione ed agli effetti cromatici, che si trovano in tutte le raffigurazioni pittoriche, dove si può notare, per esempio, la pianta della mandragola carica di frutti gialli molto decorativi, che viene spesso accostata all'azzurro dei fiordalisi ed al rosso dei papaveri.

 

 

Mesopotamia

 

Il più famoso tra gli esempi dei giardini della Mesopotamia, non foss'altro che per essere ricordato come una delle sette meraviglie del mondo antico, è il giardino pensile di babilonia, risalente all'VIII sec.a.C., che Nabocodonosor II fece costruire per la regina Semiramide così che potesse ricordare le foreste del suo paese, la Media.

Si tratta di un giardino del quale esistono soltanto riferimenti letterari e tracce delle fondamenta del palazzo, di cui si conservano soltanto una sequenza di 14 stanze voltate che probabilmente servivano a sostenere una terrazza sulla quale erano piantati gli alberi.

 

- I 5 - Giardini pensili di Babilonia, secondo M.J. Lacam, e secondo R. Koldewey e F. Witzel - L. pg 8/7,8 -

Assai poco per ricostruire con certezza l'immagine di questa architettura, che è ipotizzata secondo i due schemi dell'immagine. Una di M.J.Lancam, del 1949, che ricorda il giardino dell'Isola Bella sul Lago Maggiore, e l'altra di R.Koldewey e F.Witzel, del 1931, che propongono un'interpretazione in cui le terrazze digradanti sono contenute all'interno di una sorta di grande cortile compreso fra le mura ed un edificio con fronte principale continuo.

Infatti le informazioni più attendibili, non favolistiche, ci riferiscono di grandi giardini pensili realizzati su terrazze sovrapposte in più ordini, ubicati tra le mura del palazzo ed i bastioni di difesa.

I giardini pensili erano interamente costruiti e non avevano alcun rapporto di continuità con ciò che si trovava intorno.

In analogia con altre sistemazioni a giardino pensile, non eccezionali nella Babilonia di quel tempo (da numerosi bassorilievi, coperture piane trattate a giardino)  ma non della stessa importanza, si suppone che fossero costituiti da uno strato di terreno di circa 1-2 metri posto sopra uno strato drenante: il tutto doveva appoggiare su un fondo impermeabile sorretto da muri e volte con doppia intercapedine e percorso da una fitta rete di canali per lo scorrimento dell'acqua, che aveva la duplice funzione di irrigare il giardino, discendendo dal livello più alto a quello più basso, e di mantenere fresche le camere sottostanti. Intorno al 1750 a.C. l'antica Babilonia ebbe il periodo di maggiore splendore; già da allora, grazie alla fertilità della terra alimentata da raffinati sistemi di canalizzazione, si ha menzione di boschi sacri e viali con filari di alberi.

Tuttavia al di là della restituzione più o meno attendibile di questi giardini pensili un punto è fuor di dubbio: la conformazione di questi giardini è proprio quella dello ziggurat, ed il suo carattere religioso restituisce a questo giardino la sacralità propria di un luogo che rappresenta l'ideale mistico dell'universo. Un luogo dove, fra meditazione e contemplazione, opera il mago o il sacerdote, simbolo di perfezione e di grazia ed in grado di manipolare piante e droghe per fini divinatori.

 

 

La Persia

 

Tutto quello che si sa dei giardini persiani lo dobbiamo a Senofonte (430-355 a.C., Economico) ed alla sua descrizione del parco che cento anni prima Ciro il Grande aveva fatto costruire a Pasargadae (Sardi per Senofonte). Nella sua descrizione Senofonte usa la parola paradeisos, grecizzazione del persiano pardes, a proposito dei numerosi giardini di cui Ciro vuole essere circondato ovunque si trovi: "In tutte le terre in cui va a soggiornare si impegna perché diventino giardini, i cosiddetti paradisi, pieni di tutte le cose belle e buone che la terra è solita produrre".

Il parco di Sardi è un giardino di grandi dimensioni, con impianto di impostazione geometrica, con piantagioni in filari di alberi ad alto fusto contrapposti ai terreni di caccia. A terra il prato è mantenuto costantemente irrigato. Non mancano padiglioni, edicole, né postazioni di tiro. Il risultato è un ambiente dove è gradevole sostare a lungo, godere del fresco e trovare piacere nelle torride estati persiane, attorniati da una natura ricca e feconda ed immersi in un'atmosfera "morale", dove tutto è disposto secondo i principi dell'ordine universale.

 

-I5b- Bagh-i Hizar, Isfahan, ricostruzione del E.Kaempfer in Amoenitarium exoticarum, 1712 (Horto Suburbano)

                          Muri di cinta/Balakhane,    Recinto/Imarat con Palazzi/Talar ,    Campo di tiro con l'arco.

Bagh = Lotto, appezzamento di terreno, Frutteto                  Caharabagh = quattro lotti da canali d'acqua

Bustan = luogo di odori, giardino int. ad una corte con canali e vasche.

 

Un vero paradeisos è basato su tre componenti principali: gli alberi, l'acqua e la regolarità dell'impianto. Una trilogia ricorrente in tutta la tradizione orientale, in quanto assume un significato mistico legato alla concezione dell'ordine universale e alla quadripartutura del mondo (giardino diviso in 4 parti da due canali ortogonali segnati da filari di alberi, alla cui intersezione è posto un tempietto ed una fontana).

Il pairidaeza  avrà una grande influenza sulla storia del giardino, non solo per la sua diretta connessione con il mondo mussulmano, ma anche, in precedenza, per il suo riverbero attraverso la cultura alessandrina e l'ellenismo, in tutto il Mediterraneo (Scipione Emiliano il Giovane ne viene a conoscenza con la conquista della macedonia,167 a.C.).

 

-I5c- Rilievi del E.Kaempfer in Amoenitarium exoticarum, 1712 -

Con la conquista dell'Egitto (525 a.C.) si sovrappone al paradiso persiano la cultura del giardino recinto a partitura geometrica, che arricchisce il gusto orientale e lo guida verso la confluenza con quello ellenistico, di cui parleremo in seguito, sommando alla impostazione geometrica ed ordinata dell'impianto un gusto di ispirazione più naturalistica, legato alla figurazione di un paesaggio con prati, ruscelli, canali d'acqua e animali in libertà, che non ha alcun riscontro nella tradizione greca classica.

 

 

 

La Grecia

 

Nella lingua greca, come poi in quella latina, non esiste una parola per definire il giardino: il termine greco kopos e quello latino hortus indicano infatti semplicemente il recinto per protezione di un'area coltivata. Più in generale nelle radici lingustiche indoeuropee si ritrovano i concetti di recinzione per particolari domesticazioni di vegetali ed animali, ma non quello di giardino, semanticamente inteso come luogo di piacere per gli occhi e per l'odorato.

Il mondo greco, modulato su compatte città e vasti ambiti per la pastorizia, non aveva spazio per i paradisi e per il piacere contemplativo, in modo non dissimile dal mondo romano, interessato alla campagna come fonte di sostentamento e ricchezza.

Purtroppo anche dei giardini greci, come per tutti i giardini del mondo antico, si hanno poche notizie certe e soprattutto non vi sono esempi visibili, eventualmente ricostruiti archeologicamente ( così com'è avvenuto per i più tardi giardini di alcune ville della Roma antica). Le tracce della loro conformazione possono essere reperite quasi esclusivamente attraverso due vie: da fonti letterarie (Iliade, Odissea) che però possono fornire descrizioni immaginarie, e dai reperti archeologici che, sotto forma di bassorilievi, di pitture su vasellame, di tracce di recinti e di canali di irrigazione in zone di scavo, forniscono certamente notizie più attendibili, ma anche più laconiche. St. pg 17.

Le regge, quando esistevano, non uguagliavano, almeno fino al I secolo d.C., quelle degli imperi d'oriente e dunque il giardino ha il sapore di un recinto, in cui cose buone e belle crescono e prosperano insieme. L.pg 6.; e del giardino privato urbano sappiamo poco. Certo è che la casa greca era una casa per donne, non una casa dove si riceveva o si volgevano attività diverse da quella legate intimamente alla vita familiare. Dunque è assai probabile che il giardino fosse di tipo meramente utilitario, poco più che una corte con vigna, salici, cipressi, olmi campestri e fiori tra i quali certamente le rose per intrecciare ghirlande decorative e votive.

 

Quindi un primo riferimento letterario ci aiuta ad immaginare un giardino greco, per quanto, nonostante si riferiscano al periodo Miceneo - quindi arcaico XIII sec.a.C. - è probabile che in realtà richiamino esempi molto più tardi (VIII-VII sec.a.C). Parliamo qui di Omero, che descrive i primi giardini di cui siamo a conoscenza e che possiamo identificare secondo due filoni interpretativi: quello della fecondità e quello degli dei.

Il giardino della fecondità è quello di Alcinoo (Odissea, canto VII, vv.149,178): Ma di fianco alla reggia un orto grande, quanto ponno in dì quattro arar due tori, stendesi, e viva siepe il cinge tutto. Alte vi crescon verdeggianti piante, il pero e il melograno, e di vermigli pomi carico il melo, e col soave fico nettareo la canuta oliva. Né il frutto qui, regni la state o il verno, pere, o non esce fuor: quando sì dolce d'ogni stagione un zeffiretto spira, che mentre spunta l'un, l'altro matura. Sovra la pera invecchia, e i pomi e i fici presso ai fichi ed ai pomi. Abbarbicata vi lussureggia una feconda vigna, de' cui grappoli il Sol parte dissecca nel più aereo ed aprico, e parte altrove la man dispicca dai fogliosi tralci,o calca il piè larghi tini: acerbe qua buttan l'uve i redolenti fiori, e di porpora là tingionsi e d0oro. Ma nel giardino in sul confin tu vedi d'ogni erba e d'ogni fior sempre vestirsi ben culte aiuole, e scaturir due fonti che non taccion giammai: l'una per tutto si dirama il giardino, e l'altra corre, passando del cortil sotto la soglia, sin davanti al palagio; e a questa vanno gli abitanti ad attingere. Sì bella sede ad Alcinoo destinaro i Numi".

Notiamo elementi significativi : la siepe, quindi il giardino è uno spazio di terreno che ha un limite preciso, non si confonde con il paesaggio; le piante ad alto fusto sono fruttifere non decorative; le aiuole sono coltivate ad ortaggi; la vite è feconda e lussureggiante; l'ubicazione dell'area fa si che sia sempre la stagione giusta per far maturare i frutti; l'acqua è presente con ben due fonti. Nulla è lasciato alla contemplazione: la bellezza e la ricchezza del giardino sono i suoi frutti, sempre presenti, scintillanti di aromi, tanto da bandire le stagioni all'interno del recinto.

Diverso è il giardino degli dei, come quello di Calipso (Odissea, canto V, vv. 83-99): Selva ognor verde l'incavato speco cingeva: i pioppi vi crescean e gli alni, e gli spiranti odor bruni cipressi: e tra i lor rami fabbricato il nido s'aveano augelli dalle lunghe penne, il gufo, lo sparviere e la loquace delle rive del mar cornacchia amica. Giovane vite di purpurei grappi s'ornava e tutto rivestia lo speco. Volvean quattro bei fonti acque d'argento, tra sé vicini prima, e poi divisi l'un l'altro e fuggenti; e di viole ricca si dispiegava in ogni dove de' molli prati l'immortal verzura. Questa scena era ta, che sino a un Nume non potea farsi ad essa, e non sentirsi di meraviglia colmo e di dolcezza".

La natura non è più soltanto feconda produttrice di frutti e di fiori, ma in essa si ricerca la bellezza e l'armonia tra l'uomo e il paesaggio che lo circonda. Il prato, la vite rampicante, i boschetti dove nidificano gli uccelli ed il cipresso odoroso gli ontani ed i pioppi compongono un'atmosfera dove tutto è grazia ed anche un dio non può non ammirare la perfezione di quel luogo dove la natura , al servizio di una divinità, si manifesta in forme armoniose ed amene.

Il bosco ombroso odoroso incantatore è dimora degli dei ed in prossimità dei grandi santuari, come Delfi ed Olimpia, crescono boschi fitti, ma non cupi, che proteggono il dio ed avvicinano gli uomini alla natura; in essi sono eretti, a conferma della loro sacralità, monumenti, colonne, cippi, tumuli. Molto verosimilmente nel periodo più arcaico il tempio era soltanto una cella protetta dagli alberi, e soltanto successivamente con l'inserimento in aree più urbane, gli alberi divennero accessori complementari e si trasformarono in elementi di legno e pietra, quasi una testimonianza simbolica di un lontano passato agreste rivissuto nelle forme delle colonne stesse.

 

(VI al IV sec.a.C.) - La città greca intanto si consolida visto che le campagne non sono molto sicure (V sec.a.C.- lotte città stato), pertanto l'urbanesimo fa scattare una particolare attenzione a tutto ciò che riguarda ala vita della città. L'interesse per la campagna non esiste.

La città così si arricchisce di edifici rappresentativi, dedicati ad attività sacre e profane. Si forma piazze e mercati, si costruiscono templi, ginnasi, ed aree sportive. Ed è interessante leggere in questo quadro di relazioni storico parte della storia del giardino greco legato a quello di alcune scuole filosofiche (V-IV sec.a.C.) e la formazione dei giardini di pertinenza.

Platone organizzò la sua scuola filosofica in un edificio con pertinenze di verde al suo intorno e prossimo al bosco sacro di Akademos, che fu progressivamente invaso da costruzioni e trasformato in passeggiata pubblica.

Aristotele, quando il suo discepolo Alessandro salì al trono lasciò la Macedonia e si trasferì ad Atene, prese in affitto degli edifici che si trovavano presso il tempietto di Apollo Licio da cui il nome di Liceo dato alla scuola stessa. Parte delle lezioni si tenevano all'aperto, passeggiando per i vialetti del giardino che circondava l'edificio (da cio il nome di peripatetici, da peripatos = passeggiata / immagine del chiostro monastico, dove ci sono luoghi per studiare, loggiati per passeggiare al coperto, giardini all'esterno per ricreare lo spirito ed il corpo.

Questi spazi a verde si caratterizzano per le ridotte relazioni con il mondo ultraterreno e per l'abolizione delle esigenze della produzione: nelle descrizioni in cui si accenna, anche in parte, alla loro forma, si tende ad esaltare il piacere dei sensi, gli intenti di riposo e di svago, la loro utilità ai fini del dialogo e dello scambio culturale di chi le frequenta.

Possiamo quindi azzardare la nascita del verde pubblico con i giardini dell'Accademia e quelli del Liceo.

 

 

Il terzo periodo, quello ellenistico (IV-I sec. a..C.) e segue alla smembramento dell'impero di Alessandro che era stato così vasto da essere entrato profondamente in contatto con le civiltà più orientali della Persia e dell'India. Queste influenze avevano prodotto forme di giardino più elaborate: a questi esempi si ispirerà il mondo romano per la realizzazione dei primi grandi modelli di architettura del verde del mondo occidentale.

Quando nel 31 a.C. i romani entrarono ad Alessandria trovarono gli spazi liberi tra il museo e la biblioteca occupati da riproduzioni maestose del giardino dei filosofi del periodo classico, influenzati pertanto dalla cultura dei paradiseios della Persia la cui cultura si era largamente diffusa nell'impero grazie ai vari regni derivati dallo smembramento dell'impero macedone.

Alla base dell'attenzione del mondo greco per i paradisi persiani era l'abilità tecnica dei giardinieri della Mesopotamia, tali da consentire produzioni singolarmente superiori a quelle dei popoli occidentali.

Il biografo di Alessandro Magno, Curzio Rufo, sottolinea l'importanza dei giardini di persia anche con la descrizione delle cerimonie solenni che avevano accompagnato la presa di possesso dei giardini del re persiano Ciro, quando il macedone conquistò l'Asia. Nella narrazione della 'Vita di Alessandro' ci sono informazioni sui giardini persiani: costituiti su una vasta superficie delimitata da mura in cui si aprivano porte monumentali che davano origine a viali rettilinei spesso incrociantesi; vi era un porticato in prossimità delle abitazioni poste all'interno del giardino, affini ai porticati ed ai peristili che circondavano le aree verdi di ginnasi o palestre presenti in ogni città greca; filari di alberi fruttiferi e ornamentali delimitavano i viali e le aiuole; gli spazi di prato erano arricchiti da fiori e cespugli odorosi; l'acqua era sempre presente per conferire fertilità al terreno; a corredo delle sistemazione vegetali era anche  allevati uccelli ed animali da livrea che vivevano in stato di libertà.

 

 

Romani

 

La civiltà romana è ai suoi albori legata alla società contadina, alla campagna da cui trae sostegno, ai cicli della semina e del raccolto, ai boschi e ai fiumi e a tutto ciò che, tramite la natura , diventi utile all'uomo e gli faciliti la vita.

La centuriazione (origine del prolungamento del cardo max, 50ha/100 assegnato) per mano degli agrimensori permette l'assegnazione in proprietà ai cittadini romani che hanno combattuto. Coloro che non sono cittadini romani non possiedono la terra in proprietà, ma la hanno semplicemente in uso e lo stato può in ogni momento revocarne la concessione.

Accanto ai lotti posseduti in piena proprietà dai singoli coltivatori esistono terre pubbliche aperte all'uso promiscuo della comunità, necessarie in particolare al sostentamento degli animali.

Queste imponenti opere di trasformazione del territorio oltre l'uso del legno come unica fonte di energia e materiale da costruzione producono risultati negativi: il disboscamento provoca dissesti idrici. Pertanto gli schiavi, generalmente prigionieri di guerra, saranno impiegati per i conseguenti lavori di bonifica, accrescendo così la produzione agricola che costituisce la base economica della società romana.

La piccola proprietà decade (II sec.a.C.) a vantaggio della più vasta azienda agraria, la villa: la terra è l'unica fonte di sostentamento e le ville, dedite ad attività differenti, mantengono così un rapporto di interdipendenza con la città che devono nutrire.

Soltanto dopo il I sec.a.C., il contatto con la cultura ellenistica, accanto alle esigenze produttive si fanno strada sempre più quelle estetiche: la villa diventa così il luogo di ricreazione dei ricchi possidenti, i quali vengono a cercarvi la serenità che la vita in città non è in grado di offrire.

Nasce infatti tra il I e II sec. a.C. il primo giardino murato, e durante il I sec. a.C. si assiste alla fioritura della villa suburbana. Si passa così ad una diversa concezione del sentimento della natura, che assume una dimensione contemplativa e più intellettuale, anche se rimangono i temi legati al recupero e all'esaltazione dell'origine (Virgilio).

La domus urbana sarà la casa che troveremo all'interno del tessuto urbano con particelle di verde sub coelo ed una fontana d'acqua.

La villa sarà l'evoluzione della fattoria, che perde il carattere aziendale.

 

- I 6 - Pianta di Casa del Fauno, Pompei - St. pg. 26.

Anche se questo esempio testimonia la fase di passaggio verso una sistemazione del verde in villa più articolata spazialmente e complessa formalmente - è importante sottolineare che i romani prediligono le forme del giardino costruito piuttosto che quello del giardino naturale come possiamo dedurre dal fatto che il manufatto che tenderà a corredare l'area del giardino dietro la villa sarà un portico disposto su uno su più lati dello spazio verde -  possiamo leggere come dal punto di vista distributivo la domus si presentava costituita da un atrio, cortile intorno al quale si disponevano le stanze; dalla parte opposta all'ingresso vi era il tablinum (camera del padrone e della padrona di casa, poi sala da pranzo, ed infine sala di rappresentanza) dove erano conservati i lari paterni. Oltre questo vano si trovava un terreno coltivato ad orto di stretta pertinenza della casa detto heredium (quota di terra che 'segue l'erede').

 

( LARI . Ai Lares familiares, antenati protettori della casa e della famiglia, vengono affiancati i Lares agrestes, che tendono a diventare vere e proprie divinità del giardino visto che casa e giardino sono inscindibili, il giardino è parte del focolare domestico ed è dedicato al culto dei Lari.

Questo rapporto tra divinità e natura presso i romani è molto forte, testimoniato dai 'santuari rustici' che come cappelle sorgevano nei campi o nei boschi. Il bosco è di per sé sacro ed il culto dei boschi è una caratteristica primitiva dei romani, popolo di pastori prima che di agricoltori. La sacralità del luogo è tale che spesso diventa intoccabile, in quanto deve essere libero di crescere e prosperare secondo le sue regole, niente a che vedere con le aree piantate e coltivate intorno ai templi greci, nelle quali la natura rappresentava l'armonia tra l'uomo ed il dio.  I romani leggevano i luoghi come i volti delle persone: come manifestazioni esterne di un vivente spirito interiore. Ogni luogo (come ogni persona) aveva il suo genio individuale che poteva manifestarsi, per esempio, sotto forma di un serpente.)

 

Tornando al giardino privato: la forma più arcaica che vede l'hortus-heredium posto su un lato della casa che si sviluppa intorno all'atrium, secondo una tipologia più propriamente etrusca e di tipo rustico, si trasforma in una tipologia più complessa dove l'hortus si integra sempre più nella casa e nel contempo acquista sempre più importanza il peristilio.

L'hortus infatti perderà sempre più la sua valenza produttiva e ne acquisterà una più rappresentativa connessa al riposo ed allo svago, al refrigerio nelle stagioni più calde; diverrà luogo dove appartarsi e raggiungere quello stato dello spirito, l'otium - riposo distensivo stimolatore dello studio, della meditazione e del tranquillo conversare - che costituiva per i romani la necessaria premessa per un agire sereno e ragionato.

 

- I 7 - Casa dei Vettii, Pompei -

Questa immagine ci serve a sottolineare come architettura, botanica ed idraulica diventano componenti strutturali del giardino, in cui la vegetazione diventa architettura essa stessa (ars topiaria), dove l'architettura diventa il mezzo per relazionare l'edificio con gli spazi aperti, ma anche supporto per illusioni ottiche di prospettive a trompe l'oeil.

Quindi edifico e spazio aperto appaiono intimamente legati ed in quest'ottica il giardino diventa parte integrante dell'architettura ed abbandona, ancora una volta, le antiche funzioni integrative e complementari per divenire composizione compiuta a sé.

Nasce e si consolida l'ars topiaria - ovvero l'arte di modellare i luoghi (topos), che diventa il fine della costruzione del giardino a Roma, legato alla volontà di creare nuovi paesaggi, di dare un'immagine all natura e, in questo spirito, di definire ambienti piacevoli per la sosta, il riposo e la conversazione (otium).

 

- I 8 - Cubicolo floreale della Casa del Frutteto, Pompei - StanzaGiardino dell'imp. Livia I sec. d.C. -

Alcuni storici fanno risalire l'uso dell'affresco della casa romana alla nostalgia della campagna perduta, che in città diventa ricordo, illusione. Qui vediamo due particolari di affreschi che ci presentano dei luoghi preziosamente accuditi e recinti nei quali la domesticazione botanica di essenze anche esotiche è fatta per il piacere degli occhi e dell'odorato, e si manifesta compiutamente come prodotto di valori estetici.

 

Come scrive Vitruvio (De architettura, IV, 7,10): nella casa dei signori ci sarà un atrio spazioso ed un vasto peristilio, un parco e un luogo per passeggiare adeguati al prestigio e alla nobiltà della famiglia".

- I 9 - Villa di Plinio, al Laurento -

Il giardino romano, nella ricchezza e nella varietà delle decorazioni e delle architetture, ripercorre i fasti del mondo ellenistico, la cui cultura era ormai diffusa ed assorbita dalla romanità. Nell'idea di giardino si insinua una contraddizione tra l'idea di natura, originariamente legata al mondo contadino, e quella della grandiosità e del fasto che si collega ai nuovi parchi che riecheggiano le mode d'Oriente.

Anche Plinio il Giovane, che come possiamo vedere certamente possiede le più belle tra le ville del suo tempo, è ostile all'ostentazione e si rifà alla tradizione della proprietà terriera. "Andare e tornare da mattina a sera"; dare "ricevimenti decorosi anche se non lussuosi". Sempre Plinio il Giovane, attraverso le sue descrizioni ci racconta la sistemazione vegetale che più caratterizza il giardino romano di vaste dimensioni, cioè l'ippodromo.

- I 10a - Villa a Tuscum, ricost. di Robert Castell, 1728 -

 

Nel sistema di verde-edifici pubblici troviamo come edificio fondamentale le terme che, insieme al ginnasio, la piscina ed il canale, arricchisce e definisce una trasformazione radicale della forma urbana della città pubblica, aperta a tutti i cittadini. Nasce così, sotto l'influsso di immagini e consuetudini ellenistico-orientali, quella struttura urbana ritmata da edifici collettivi e spazi aperti, tipici dell'area mediterranea, che nella sua evoluzione genererà la piazza come centro riconoscibile di vita quotidiana e degli interessi della comunità.

Ed infine i nuovi parchi più articolati e monumentali saranno chiamati horti, avranno forme libere con terrazzamenti su vari livelli ed esprimeranno con la loro estensione anche intenti di composizione del paesaggio di più ampio respiro.

 

La villa romana scompare soltanto nel V sec.d.C. quando si disgrega l'impero d'Occidente ed il formarsi dei regni cosiddetti romano-barbarici. Le rimanenti subiranno le trasformazioni derivanti dal cambiamento della politica e della società.

 

- I 10b - Pecile di Villa Adriana, 130 d.C. -

Credo quest'immagine sia abbastanza sintetica per introdurre il periodo successivo. Per Adriano la villa di Tivoli, tanto grande da credere che fosse la città di Tivoli, rappresentava la testimonianza simbolica del suo operato, la traduzione concreta di un sogno perseguito tutta la vita alla ricerca della perfezione e della bellezza: ellenizzare Roma e rendere universale il suo lascito. Durante i suoi viaggi i mondi che lo affascinavano diventavano referenti delle sua frasi di architettura che poi composero la sua creazione.

Il Pecile è una grande area porticata destinata alla deambulazione e alla meditazione, fu fatto sull'esempio dell'analoga struttura di Atene, lo Stoà poikìle, portico dipinto a fresco con immagini che esaltavano le gesta degli ateniesi. Ne rimane superstite un grande muro, rappresentazione eloquente della potenza costruttiva romana, con la cui bellezza assoluta affascina nei secoli i visitatori. Ha affascinato anche un prestigioso visitatore …

 

- I 11 - Pecile, Villa Adriana, Le Corbusier - Quest'immagine è uno schizzo di Le Corbusier tratto da Vers une Architecture, un omaggio ad Adriano.

LC dice " L'Architettura è al di là dell'utile. Architettura è stabilire rapporti emozionali con materiali grezzi. La passione fa di materiali inerti un dramma".

Credo che Adriano possa ritenersi soddisfatto!

 

 

Il  Medioevo

 

A partire quindi dal V sec.d.C., nelle province dell'Impero romano d'Occidente - la cui definitiva scomparsa data il 467 - si fa evidente una tendenza che aveva già cominciato a manifestarsi dal III sec.: le città decadono e perdono la funzione di punti di riferimento per l'economia agricola.

La vita è prevalentemente rurale, basata su un'economia agricola povera, autarchica, al limite della sussistenza, in cui i raccolti sono scarsi e la foresta invade le terre che un tempo erano fertili.

La sicurezza dell'esistere è sempre legata alla possibilità di concentrarsi e vivere in ambienti fortificati: i civili si ammassano nei borghi recinti da mura e spesso si elevano alti su zone paludose; allo stesso modo la vita religiosa si svolge dentro i conventi, anch'essi fortificati.

Quindi mentre le città decadono ( a partire sempre dalla caduta dell'impero romano d'occidente 467) acquistano importanza le ville (antichi centri dell'organizzazione del latifondo) come luoghi di iniziativa economica, ma anche giuridico.amministrativa e di difesa. La nobiltà terriera ottiene sempre più spesso che i funzionari pubblici non entrino nei latifondi (immunità) e si avvia ad esercitare sulle proprie terre funzioni tipicamente statali come riscuotere le tasse e amministrare la giustizia.

Nello steso tempo l'insicurezza della campagna, determinata dalla sempre maggiore debolezza del potere centrale, dà crescente importanza all'istituto della commendatio, in base al quale il piccolo proprietario cede al signore latifondista la propria terra in cambio di protezione, conservandone l'uso dietro pagamento di un canone.

Però accanto alle 'ville' dei signori anche i monasteri (congregazioni religiose 300/San Benedetto 480-543) costituiscono un punto di riferimento importante per i contadini in cerca di protezione.

I conventi non sono però soltanto centri religiosi ma anche culturali: si leggono e si copiano oltre che testi sacri anche testi latini, tra cui quindi anche quelli sul giardino (Catone, Varrone e Plinio il Vecchio, Naturalis Historia).

Ma è con Benedetto da Norcia (480-543) e con la creazione della sua regola monastica che le congregazioni religiose, già esistenti da più di un secolo, si danno un'organizzazione più definita e, assumendo la massima ora et labora come base ascetica, affermano un'ideale di vita che collega le attività manuali a quelle contemplative, e prelude allo sviluppo economico e civile dei secoli successivi.

In breve tempo intorno a questi monasteri (Montecassino, Nonantola, farfara, S.Vincenzo al Volturno, Novalesa, Fulda, Reichenau, Saint Denis, Tours, Cluny, S.Gallo) si costituiscono grandi patrimoni, in  conseguenza delle donazioni di fedeli e dei contratti a livello (commendatio) stipulati dall'abate con i piccoli proprietari che si accommendano.

 

- I 12 - Dettagli Plan. Abbazia di San Gallo, Svizzera. Primi decenni sec.IX -

Le tracce della vicenda del giardino tra l'età tardo antica e l'epoca (tra 816 e l' 836) di questo disegno sono labili. Potremmo dire che per il giardino sono tempi duri! Non gli resta che uno spazio esiguo sia all'interno del borgo, sia del castello che del monastero. Bisanzio è cerniera tra l'antica sapienza, la raffinatezza della cultura alessandrina e le pratiche greche e romane.

Le testimonianze riguardanti il giardino in questi secoli sono per lo più letterarie: da corrispondenze, scritti poetici, o testi storici si assiste alla tutela del patrimonio storico e culturale latino e alla integrazione di questa con quella ebraica e quella della nuova cultura del mondo islamico. Nel giardino delle erbe medicinali sono coltivati fagiolo, rosmarino, mente, salvia, cumino e finocchio, ma anche rose ed altri fiori.

Nel frutteto, a sinistra, è suddiviso in 13 aree piantumate ed esprime un ritrovato elemento paesaggistico in quanto le 14 aree rettangolari sono destinate alla sepoltura dei monaci. Cimitero-frutteto/Pomario

Nel giardino della cucina, Hortus, a destra, i due filari di piccoli campi coltivati contengono rispettivamente: cipolla, porro sedano, coriandolo, aneto, papavero sonnifero, rafano, papavero, bietola, aglio, scalogno, prezzemolo, cerfoglio, lattuga, crescione, pastinaca, cavolo, finocchio.

 

- I 13a - Monastero di San Gallo, schema planimetrico

Ed ecco lo schema planimetrico del monastero di cui facevano parte i giardini precedenti.

La data del disegno è data tra l'816 e l'836: non è un caso che il primo documento cartografico, peraltro accompagnato - come abbiamo visto - da elenchi di piante, risalga alla fine del Sacro Romano Impero, quando perdendo la corte la sua egemonia culturale i monasteri tornano ad assumere un ruolo egemone.

Molto probabilmente si tratta della proposta per una città religiosa ideale e non il rilievo vero e proprio dell'abbazia come spesso si è creduto, per cui emerge il rapporto ottimale che si deve ricercare fra gli edifici e gli spazi non costruiti compresi nel complesso recinto del monastero.

Il giardino monastico prevedeva quattro diversi giardini: l'hortus conclusus, giardino claustrale per ogni monaco; il pomario, frutteto; l'herbularius, o hortus sanitatis o giardino dei semplici, dove si coltivavano le erbe mediche; ed l'hortus o verziere, dove si coltivavano le piante edibili.

L'herbularius è collegato agli edifici per la cura degli infermi. Ma la presenza della rosa ed del giglio, accanto alla erbe officinali, reintroducono il piacere della vista e dell'olfatto.

Riconosciamo il Frutteto-Cimitero, e l'Hortus vero e proprio.

I tre giardini sono assai diversi tra loro ma li accomuna il tentativo di unire all'utilità una forma piacevole, tentativo riuscito nel cimitero-giardino.

Nel giardino claustrale, in memoria del comandamento trasgredito, al centro di un'aiuola quadrata (4 fiumi del paradiso, 4 virtù cardinali - la prudenza, la fortezza, la temperanza, e la giustizia - 4 evangelisti) era piantato un albero- l'albero della conoscenza del bene e del male; oltre ad essere evidente la partizione della pianta.

Il chiostro privo di qualunque valore utilitario si lega all'idea di raccoglimento e contemplazione che in seguito prevarrà.

 

- I 13b - Giardino del Chiostro, Monastero Cistercense di Fontenay (Borgogna)-

Nel significato dell'hortus conclusus, il giardino conventuale segnava all'interno del bosco il limite della preghiera e, per metafora, il confine con il mondo esterno dal quale l'eremita si era isolato. La preghiera unita all'operosità permetteva di sfuggire alle insidie dell'ozio.

Il giardino veniva considerato come un atto creativo di trasformazione della Natura, dove si riconquistava il miracolo del perpetuo rinascere. Gli orti dei monasteri aspiravano al modello celeste, dove le forze demoniache venivano annientate.

Possiamo quindi leggere nel giardino conventuale una sintesi tra la vita dell'anacoreta e quella del cenobio.

La virtù era negazione della vita terrena che altro non era se non ombra e contemplazione di quella reale, la vita celeste. La desolazione della vita terrena poteva essere accettata soltanto pensando alla promessa di un luogo felice. Il giardino divenne così una conquista, il miraggio nei disagi dell'eremitaggio su questa terra.

L'eremita fuggiva dal mondo alla ricerca di quella libertà che scaturisce dalla solitudine, nel tentativo di sublimarsi con il misticismo e l'ascesi. Attraverso il deserto, che poteva essere metaforico ed interiorizzato dall'anacoreta, il monaco raggiungeva il paradiso, il rifugio.

L'eremita addomesticando la Natura ostile, dentro di sé e quindi fuori di sé, attraverso il giardino segnava emblematicamente la conquista del mondo civilizzato sul mondo bruto.

Il desertum/Natura Selvaggia costellata nell'immaginario dei monaci da demoni tentatori, era tenuto fuori dal recinto dell'Hortus Conclusus/Natura Addomesticata.

 

- I 13c - Giardino dell'Amore,miniatura del Roman de la Rose, sec. XV-

Alla fine del XIII secolo tutto il territori dell'Europa è presidiato da monaci e sovrani. Ma non è facile trovare testimonianze di giardini all'interno di castelli, anche se vengono cantati dai romanzi cavallereschi.

 

 

 

- I 14 - La fatica del giardino,1486 ed. parigina di De ruralium commodorum. Pietro de Crescenzi, 1305 -

La natura addomesticata si conserva anche alla fine del 1400, anzi si sottolinea che questa natura artificiale ma pur sempre creata dall'uomo per il suo piacere, è conservabile attraverso al suo amore e alla sua fatica.

 

- I 15 - Il giardino medievale. Pietro de Crescenzi, De ruralium commodorum. Fine sec XIII -

Quest'immagine per esemplificare quanto del giardino monastico si conserva nel giardino medievale laico.

Il termine Hortus Conclusus monastico divenne il nome del giardino medievale, conservando con la parola conclusus il significato di spazio protetto e separato fisicamente da un ambiente circostante, grazie ad un alto muro, assicurando quindi accezione contemplativa; conservando con la parola hortus la caratteristica di orto fecondo di frutta, ortaggi ed erbe officinali molto legata alla tradizione romana.

Ma l'elemento che fin'ora ha avuto un ruolo marginale seppur simbolico e tradizionale è l'acqua. Nei giardini medievali europei l'acqua ha il significato di un preziosismo esotico poiché fin ad allora presente, con questo valore semantico, nel giardino islamico.

 

Infatti, per quanto di questi giardini alto medievali siano sopravvissute testimonianze delle loro forme più povere - piccoli recinti murati - si può senz'altro affermare che il processo generale di inselvatichimento non risparmia certo la cultura del verde che in età romana aveva raggiunto un livello raffinato.

Con il disfacimento dell'impero carolingio si afferma il sistema feudale in Francia, in Germani a ed in italia: esso si fonda sul rapporto di fedeltà tra uomo e uomo (ritualizzato nell'omaggio) e sulla concessione di terre (beneficio) in rimunerazione del servizio reso al signore.

 

 

L'Islam

 

Corano. Cap.XXXVII. Gli Ordini: "I veri servi di Dio avranno un diverso destino: godranno un nutrimento scelto, frutta squisite, e saranno serviti decorosamente. Igiardini delle voluttà saranno loro asilo. Pieni ad esuberanza di mutuo amore, riposeranno sul letto nuziale. Si offriran loro coppe piene di un'acqua pura, limpida, di un gusto delizioso. Essa non turberà la loro ragione e non li renderà stolti; vicino ad essi saranno vergini intatte; i loro begli occhi saranno modestamente abbassati; si volgeranno gli uni verso le altre e converseranno insieme.

Il giardino arabo ha come modello estetico questo paradiso coranico, poiché il suo obbiettivo estetico è il piacere dei sensi.

 

Adamo è stato cacciato temporaneamente per i suoi peccati. Tornerà nel giardino se adempie alla volontà di Allah e vi godrà i piaceri dei sensi sintetizzati nel giardino.

Corano. Cap. LXXVI. L'Uomo: "La loro pietà ottenne la loro mercede: Dio li ha liberati dalle pene eterne; il loro capo è attorniato da uno splendore raggiante; la beltà e la gioja brillano sulla loro fronte. I giardini di delizie e gli indumenti di seta sono il premio della loro costanza. Essi riposano sul letto nuziale; lo splendore del sole e della luna non reca loro molestia. I rami carichi di frutta si abbassano innanzi ad essi.Si offrono loro vasi d'argento e coppe pari in beltà al cristallo; vi si disseteranno a loro piacere. Un miscuglio di vino squisito e d'acqua pura di Zangebil è la loro bevanda. Salsabil è il luogo ove scorre questa superba sorgente.Alcuni ragazzi dotati di una eterna giovinezza si affrettano a servirli; i bianco loro colorito pareggia lo splendore delle perle; l'occhio, in questo soggiorno delizioso, non vede che oggetti incantevoli; ei gira sopra un regno estesissimo. L'oro e la seta formano i loro abiti; dei braccialetti d'argento sono il loro ornamento. Dio li fa bere nella coppa della felicità. Cotale mercede ci è promessa. Certamente il vostro zelo sarà pagato di riconoscenza".

 

Perché l'acqua?

Una leggenda araba racconta che il mondo, all'inizio dei tempi era un immenso giardino, finché l'uomo non cominciò a peccare. Accadde allora che per ogni peccato commesso Allah ordinasse ad un angelo di far cadere sulla terra un granello di sabbia. In poco tempo il bel giardino divenne un deserto: il Sahara, simbolo del vuoto e della morte.

L'idea del giardino in Eden rimase però nelle oasi superstiti ricordi dell'antico paradiso terrestre, frammenti che dovevano suscitare nei peccatori la nostalgia di quanto avevano perduto e la speranza di riconquistarlo.

L'acqua quindi che sconfigge il deserto. L'acqua che troviamo in uno dei fiumi del giardino coranico è incorruttibile.

L'acqua che Mosè fa sgorgare nel deserto colpendo una roccia e che Allah dona all'uomo per farlo vivere. Ma il giardino di Allah, descritto nel Corano, non può essere uguagliato sulla terra. L'uomo può avvicinarsi a Dio, assumerlo come modello, ma non può pensare di emularlo o superarlo. Così i giardini più famosi della letteratura orientale delle Mille ed una notte diventa il simbolo perverso della trasgressione di chi volendo uguagliare Dio non può che divenire fonte di peccato e di male e come tale deve essere punito. E' la riproposizione del mito di Eden, giardino profanato dall'arroganza e dalla disubbidienza dell'uomo a Dio, cui l'uomo cerca di tornare per ricongiungersi alla divinità stessa.

- Una delle prime terre conquistate dagli arabi, soltanto dieci anni dopo la morte di Maometto (570-632), è proprio la Persia. Ricordiamo i pairidaeza, parola usata per designare i giardini dei re. E gli scavi del palazzo di Ciro il Grande confermano l'esistenza di un grande giardino rettilineo decorato con canali e vasche d'acqua, fornito di padiglioni che si aprivano con portici sui quattro lati. Il giardino era probabilmente piantumato con alberi da frutto (Senofonte, Vsec. a.C.).

Corano 3. Cap.XLVII. Il Combattimento.

Altra forma archetipa  ed essenziale ricorrente nella composizione del giardino islamico è costituita da due assi che si incrociano ad angolo retto e che danno origine a quattro rettangoli uguali. In genere i quattro assi sono canali d'acqua.

Quadripartizione del mondo.

Dietro una volontà di ordine e chiarezza geometrica si può leggere la volontà dei giardinieri islamici di distinguere il giardino-paradiso dal deserto magmatico ed informe; il muro che divide il territorio selvaggio da quello colonizzato segna per altro verso anche la demarcazione ideale e spaziale tra la vita nomade e quella stanziale.

- Gli esempi che vedremo, pur raccontando la contaminazione romana bizantina, con la direzione monoassiale del canale d'acqua, restano rappresentativi del giardino islamico e del suo stretto legame con l'acqua.

 

- I 16 - Planimetria del Palazzo del Generalife, Granada 

Il palazzo del Generalife,1315-25, (Jinna al -Arif, il più nobile dei Giardini) era usato probabilmente come residenza estiva dei sovrani.

 

- I 17 - Palazzo del Generalife, Granada. Patio de la Sultana 

Su una terrazza parallela del Patio de la Reja

- I 18a - Palazzo del Generalife, Granada. Patio de la Reja

- I 18b - Torre de las Infantas con labirinti e giardini che dividono Generalife dall'Alhambra -

- I 18c - Palacio de Partal - 

Più in alto sul colle dell'Alhambra, 1333-91, serra dentro la sua cinta fortificata tre parti distinte: la zona militare, la parte centrale monumentale con palazzi e l'harem, ed infine le case e la moschea.

- I 19 - Planimetria della parte centrale Palazzo dell'Alhambra, Granada -

- I 20 - Palazzo dell'Alhambra, Granada. Patio de los Arrayanes -

- I 21 - Palazzo dell'Alhambra, Granada. Patio de los Leones -

Il patio de los leones era il centro della vita privata/chiostro

- I 21a - Palazzo dell'Alhambra, Granada. Patio de los Leones (particolare) -